MEDICINA BASATA SULL’EVIDENZA: IL METODO AL SERVIZIO DEL PAZIENTE

Giorgio Bedogni

Unità Fegato e Nutrizione, Centro Studi Fegato, AREA Science Park, Basovizza, Trieste.

Tutte le posizioni dell’ANDID fanno riferimento ai principi della Medicina basata sull’Evidenza (EBM) come a principi guida per la pratica professionale del dietista (1). Ciò è assolutamente ragionevole, dal momento che l’EBM si sforza di offrire un metodo per realizzare un principio etico fondamentale della nostra professione: la centralità del paziente (2). (In quest’articolo userò il termine “professione” come sinonimo di tutte le professioni sanitarie, in quanto accomunate dall’obiettivo della salute del paziente.)

Quando Archibald Cochrane – l’uomo che ha dato il nome alla Cochrane Collaboration (3) – sosteneva la necessità di considerare in maniera sistematica la ricerca disponibile su un trattamento, lo faceva con la speranza che le “disuguaglienze dovute alle variazioni degli standard di assistenza… [possano diminuire] nella misura in cui la scienza si sostituirà alle opinioni e alle intuizioni personali” (4). Questa dichiarazione implica la considerazione della scienza come un metodo per raggiungere un fine etico.

Naturalmente, è (o dovrebbe essere) nozione più generale che la scienza offra soltanto un metodo – “una strada” (5) – e non un fine. “Giustificare” la scienza attraverso la scienza è un’impresa logicamente impossibile (6). A chi dicesse “Io non accetto nulla che non sia scientifico”, è facile rispondere “Comincia col dimostrarmi che questa tua affermazione è scientifica”, chiudendo la questione.

Chi temesse che la “scienza” possa spazzare via l’“arte” dalla nostra professione, può dormire sonni tranquilli. Non solo è universalmente accettato che “la combinazione di conoscenza medica, intuito, esperienza e giudizio rappresenta l’arte della Medicina” (7), ma l’EBM fornisce anche una strada tentativa per realizzarla, configurandosi come un metodo al servizio del paziente. Per chi avesse ancora dei dubbi, basta considerare la definizione di EBM fornita nelle primissime pagine di ogni libro sull’argomento: “l’integrazione della miglior ricerca disponibile con l’esperienza clinica e i valori del paziente” (1).

La realtà è che, a dieci anni dall’“esordio” dell’EBM (8), a molti operatori sanitari sfugge ancora il suo “principio organizzatore”, che cioè l’evidenza fornita dalla ricerca deve essere applicata, per il tramite della propria esperienza professionale, alla situazione unica del paziente (1, 9). Come ben sa chi ha a che fare con la malattia cronica, l’unicità del paziente è innanzitutto psico-socio-pedagogica e solo secondariamente patobiologica (9, 10). L’unicità del paziente è, ovviamente, un “corollario” della più generale unicità della persona. (Incidentalmente, il termine “paziente” è spesso criticato perché disumanizzante ma, se interpretato come “persona che soffre”, esso è ancora più carico di implicazioni antropologiche del termine “persona”; in ogni caso, non sono le parole ma i comportamenti a fare la differenza.) La centralità del paziente e la necessita di un’“arte” è ancora più evidente nel caso – certamente il più frequente – in cui l’evidenza fornita dalla ricerca relativamente a una malattia è assente o insoddisfacente da un punto di vista metodologico (11).

Con ciò non voglio certo sostenere che l’entusiasmo eccessivo di molti sostenitori dell’EBM (11, 12) – negante per definizione l’essenza “socratica” del metodo scientifico (6) – e le frequenti strumentalizzazioni dell’EBM (1, 13, 14) non abbiano contribuito all’ostilità degli operatori sanitari nei confronti di questa disciplina. Chi scrive era, fino a non molti anni fa, “dall’altra parte della barricata”, avendo commesso l’errore di prestare fede a quanto veniva detto in maniera assolutamente “partigiana” sull’EBM. Oggi, invece, a conoscenza dei fatti, sceglie l’EBM per tre ragioni: 1) perché è incentrata sul paziente, che è al centro della sua professione di medico; 2) perché è un metodo che consente di accrescere la sua conoscenza al servizio del paziente; 3) perché necessita di un operatore per il suo esercizio. (Non ho nessun problema a confessare l’egoismo che sottende l’ultima affermazione: ciò che spero convincerà i più recalcitranti che l’EBM non rappresenta un nemico ma un alleato per la nostra professione).

Come abbiamo sottolineato altrove (15), la grande sfida della “pratica professionale basata sull’evidenza” non dipende dal suo aspetto tecnico – che pure crea difficoltà e richiede una revisione del curriculum tradizionale di studi – ma dalla disponibilità e dalla capacità degli operatori sanitari di mettere quest’evidenza al servizio del paziente. Ovviamente, chi “pratica” l’EBM deve impegnarsi per dimostrare che un “approccio basato sull’Evidenza” è in grado di migliorare lo stato di salute del paziente rispetto ad altri approcci (11). Anche se questa non è un’impresa facile da realizzare, perché la didattica dell’EBM è ancora poco standardizzata e vi sono molti problemi irrisolti (1), essa è indispensabile perché la scienza procede per “congetture e confutazioni” (6, 16, 17) e non per “paradigmi”. Ciò non equivale a negare l’esistenza di paradigmi, che sono anzi all’ordine del giorno nella ricerca medica [il primo a venirmi in mente è la “sindrome metabolica” (18)], ma a sostenere il fatto che le teorie procedono solo se superano controlli [come la teoria della “sindrome metabolica”, che non sta superando il controllo dell’evidenza (18)].

Mi piace rispondere alla domanda “Perché dovremmo praticare l’EBM”, citando Karl Popper (a proposito del metodo della scienza) (19): “[Perché] noi non sappiamo niente – primo punto. Di conseguenza, dobbiamo essere modesti – secondo punto. Non diciamo di sapere quando non sappiamo – terzo punto” . Sta a noi operatori sanitari l’onere (e l’onore) di dimostrare che l’EBM è in grado di migliorare la salute dei nostri pazienti. I dietisti hanno fatto già moltissimo in questo senso, sviluppando il programma Medical Nutrition Therapy (MNT) (15, 20). Buon lavoro ai colleghi dell’ANDID che non mancheranno certamente di raccogliere quest’ennesima sfida.

BIBLIOGRAFIA

1. Straus S, Richardson W, Glasziou P, Haynes R. Evidence based Medicine. How to teach and practice EBM. Edinburgh: Elsevier Churchill Livingstone, 2005.

2. Medical professionalism in the new millennium: a physician charter. Ann Int Med 2003; 136:243-246.

3. Archie Cohrane Archive

4. Cochrane A. Effectiveness and efficiency. Random reflections on health services (Reprint): Royal Society of Medicine Press Ltd, 1999.

5. Online Ethimology Dictionary: method

6. Popper K. Conjectures and Refutations (Reprint). London: Routledge, 2002.

7. Editors. The practice of Medicine. Harrison’s Principles of Internal Medicine. New York: McGraw-Hill, 2005:1-6.

8. Straus SE, Jones G. What has evidence based medicine done for us? BMJ 2004; 329:987-8.

9. Haynes RB, Devereaux PJ, Guyatt GH. Clinical expertise in the era of evidence-based medicine and patient choice. Vox Sang 2002; 83 Suppl 1:383-6.

10. Lockwood S. “Evidence of me” in evidence based medicine? BMJ 2004; 329:1033-5.

11. Frost R. The essence of EBM. BMJ 2004; 329:991-992.

12. Liberati A (ed.). Etica, conoscenza e sanità. Evidence-based medicine fra ragione e passione. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2005.

13. Straus S, McAlister F. Evidence-based medicine: a commentary on common criticisms. Can Med Ass J 2000; 163:837-841.

14. Sackett DL, Rosenberg WM, Gray JA, Haynes RB, Richardson WS. Evidence based medicine: what it is and what it isn’t. BMJ 1996; 312:71-2.

15. Bedogni G, Fantuzzi A, Borhghi A. Rierca, valori del paziente ed esperienza: verso una pratica professionale basata sull’ “evidenza”. ANDID Notizie 2005: numero speciale XX anniversario: 37-38.

16. Antiseri D. Le "evidenze" della EBM sono "fatti" o "artefatti"? Soveria Mannelli (Catanzaro) : Rubbettino, 2004.

17. Koch E, Otarola A, Kirschbaum A. A landmark for popperian epidemiology: refutation of the randomised Aldactone evaluation study. J Epidemiol Community Health 2005; 59:1000-6.

18. Kahn R, Buse J, Ferrannini E, Stern M. The metabolic syndrome: time for a critical appraisal: joint statement from the American Diabetes Association and the European Association for the Study of Diabetes. Diabetes Care 2005; 28:2289-304.

19. Popper K. Tutta la vita è risolvere problemi. Milano: Rusconi, 2000.

20. Gray GE, Gray LK. Evidence-based medicine: applications in dietetic practice. J Am Diet Assoc 2002; 102:1263-72.