L’APPROCCIO INTERPROFESSIONALE IN SANITÁ: RAZIONALE ED EVIDENZE

Giorgio Bedogni

Unità di Epidemiologia Clinica, Centro Studi Fegato, Basovizza, Trieste.

Il termine inglese “team” designa un gruppo di individui che lavorano per un obiettivo comune. L’obiettivo di un team clinico è la salute della persona affidata alle sue cure. Nel caso della malattia cronica, questo obiettivo è assai ambizioso. In questo contesto, infatti, la salute non corrisponde a una
restitutio ad integrum ma è un traguardo che muta continuamente in base alle caratteristiche bio-psico-sociali della persona che si ha in cura (1,2).

Il lavoro in team è una caratteristica essenziale della medicina contemporanea. A tale proposito, è interessante osservare che il termine “patient care team” è una parola chiave della banca dati PubMed da circa 40 anni. La crescente importanza del team nella medicina contemporanea è determinata innanzitutto da un limite intrinseco della mente umana. Quando la conoscenza relativa a una branca del sapere è cresciuta in maniera sostanziale, essa non può essere “contenuta” in una singola mente (argomento di Polanyi-Popper) (3,4). Tale conoscenza può essere però “distribuita” su molte menti e utilizzata da molti individui che perseguono un interesse comune. Sebbene la Medicina non possa (e non debba) essere considerata una scienza, ma piuttosto una commistione di arte e scienza (5), l’argomento di Polanyi-Popper è oggi senz’altro applicabile anche alla conoscenza biomedica. L’approccio interprofessionale è caratterizzato dal fatto che “i diversi professionisti imparano l’uno dall’altro a migliorare la collaborazione e la qualità della cura” (6).

Nonostante l’approccio inter-professionale sia ineluttabile in ragione dell’argomento di Polanyi-Popper, la ricerca sull’efficacia di tale approccio sugli outcome di salute è poca e di scarsa qualità (7). La maggioranza degli studi sui determinanti dell’efficacia del team clinico “offre solo ipotesi o teorie sociologiche” (8). In altri termini, questi ipotesi e teorie non sono sottoposte al controllo dei fatti col rischio di essere assunte a dogmi.

Il lavoro in team presenta una duplice sfida. Non basta infatti che ogni operatore applichi, attraverso il filtro della propria esperienza professionale, la miglior evidenza fornita dalla ricerca alla persona che ha in cura (1), ma è necessario che la sua azione sia coordinata con quella di tutti gli altri membri del team (6). In altre parole, se la conoscenza “distribuita” del team non è applicata in maniera coordinata, essa non può raggiungere l’ambizioso obiettivo della salute del paziente.

1. Straus SE. Evidence-Based medicine: How to practice and teach EBM. New York: Elsevier/Churchill Livingstone; 2005.

2. Haynes RB, Devereaux PJ, Guyatt GH. Clinical expertise in the era of evidence-based medicine and patient choice. ACP J Club 2002;38(7):36-8.

3. Popper KR. Miseria dello storicismo. Milano: Feltrinelli; 1984.

4. Polanyi M. La conoscenza personale. Milano: Rusconi; 1990.

5. Cosmacini G. La medicina non è una scienza. Milano: Raffaello Cortina; 2008.

6. Clark PG. A typology of interdisciplinary education in gerontology and geriatrics: Are we really doing what we say we are? J Interprof Care 1993;7(3):217 - 228.

7. Reeves S, Zwarenstein M, Goldman J, Barr H, Freeth D, Hammick M, Koppel I. Interprofessional education: Effects on professional practice and health care outcomes. Cochrane Database Syst Rev 2008(1):CD002213.

8. Zwarenstein M, Reeves S. What's so great about collaboration? BMJ 2000, Apr 15;320(7241):1022-3.